Un po' di storia

Nel 1975 il termine disabile viene utilizzato nella dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone disabili (disabled people). L’anno successivo, sempre l’ONU proclama il 1981 “anno internazionale delle persone disabili”, espressione che ritroviamo ancora nel 1982 con la risoluzione 37/52 dell’Assemblea Generale dell’ONU, che stabilisce il Programma di azione mondiale riguardante le persone disabili 12.

Nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel documento sulla “Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità e Handicap” (l’International Classification of Impairment, Disabilities and Handicaps, ICIDH), distingue tra:

  • Menomazione (impairment), intesa come qualsiasi perdita o anomalia permanente a carico di una struttura anatomica o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica;
  • Disabilità (disabilities), intesa come qualsiasi limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività di base (quale camminare, mangiare, lavorare) nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano. Le disabilità, come le menomazioni, possono avere carattere transitorio o permanente ed essere reversibili o irreversibili, progressive o regressive; possono insorgere come conseguenza diretta di una menomazione o come reazione del soggetto, specialmente da un punto di vista psicologico, a una menomazione;
  • Handicap, inteso come condizione di svantaggio, conseguente a una menomazione o a una disabilità, che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento di un ruolo sociale considerato normale in relazione all’età, al sesso, al contesto socio‐culturale della persona. Solitamente si tende a confondere l’handicap con il deficit. Sono in realtà due concetti estremamente diversi. A differenza del deficit, che è proprio della persona, l’handicap riguarda il contesto di riferimento.

Secondo tale classificazione, la nozione di disabilità appare dunque collegata a una catena sequenziale che parte da una menomazione, che a sua volta comporta una disabilità, la quale si traduce, in ultimo, in un handicap, ovvero una condizione di svantaggio in ambito sociale per la persona 13.

Queste distinzioni sono risultate però problematiche nel tempo. Il concetto di disabilità così inteso, di “limitazione dell’agire umano rispetto a uno standard in conseguenza di una menomazione e in grado di dare luogo all’handicap, ovvero a uno svantaggio sociale” 14, spiega la disabilità come una deviazione dal comportamento o dall’attività “normalmente attesi”. Il concetto di handicap, per quanto definito come “fenomeno sociale”, si traduce in una incapacità del soggetto ad agire come un individuo “normale”. La persona disabile, in quanto “minorata”, è vista come un soggetto da proteggere, sostenere, aiutare in contesti prevalentemente assistenziali o sanitari.

Le critiche mosse a questa concezione della disabilità hanno portato l’OMS, nel 2001, ad adottare un nuovo sistema classificatorio: la “Classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute” (l’International Classification of Functioning, ICF).

La disabilità viene ora intesa come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra condizione di salute, fattori personali e quelli ambientali. Ne consegue che ogni individuo, date le proprie condizioni di salute, può trovarsi in un ambiente sfavorevole che limita o riduce le sue capacità funzionali e di partecipazione sociale. Questo approccio “bio‐psico‐sociale“15 alla disabilità sposta il focus dall’ambito medico e patologico a quello dell’individuo come “essere sociale”, dalla visione della disabilità come unicamente legata alla menomazione fisica o psichica della persona al contesto ambientale in cui essa agisce e con cui interagisce, trovando ostacoli oppure facilitazioni. La disabilità non è più dunque meramente collegata alla condizione di salute, ma è causa di un rapporto fra la persona, con le sue condizioni di salute, e un ambiente non favorevole 16. Una persona è dunque relativamente disabile, a seconda del contesto. Ambienti diversi possono infatti avere impatti diversi sul medesimo soggetto.

L’ICF promuove un metodo di classificazione della salute, delle capacità e delle limitazioni nello svolgimento delle diverse attività che permette di individuare gli ostacoli da rimuovere o gli interventi da effettuare affinché l'individuo possa realizzare il proprio progetto di vita.

Viene superata una terminologia incentrata sul deficit, o che identifica la persona con esso, e si utilizzano invece termini più descrittivi dei contesti di vita, che puntano l’attenzione sulle risorse e abilità di un soggetto 17.

Il termine handicap, che da uno studio condotto dall’OMS in vari Paesi risultava avere acquisito per lo più una connotazione negativa, viene abbandonato e si parla invece di “persona che sperimenta difficoltà nella vita sociale” 18.

La disabilità non è più descritta come problema di un gruppo minoritario, ma un’esperienza che tutti nell’arco della vita possono sperimentare.

L’ICF utilizza l’espressione persone con disabilità.